Il racconto “Lo zio Peppino mi raccontò…” di Alessio Palazzolo, che pubblichiamo, ha ricevuto il premio speciale della Giuria, al 4° concorso letterario “Caccia, Passioni e Ricordi”, organizzato dalla Federcaccia Sezione Provinciale di Firenze. È stato pubblicato sul mensile “Sentieri di caccia di giugno 2018 e pubblicato nell’antologia a cura della Federcaccia Sezione Provinciale di Firenze nel 2019 e inserito nel volume del sottoscritto “Cunti ri caccia” del 2017
Lo zio Peppino mi raccontò…
di Alessio Palazzolo
… quand’ero giovanotto, appena preso il porto d’armi, dopo una giornata di zappare, di sera, avendo finito di mangiare, me ne andavo al Circolo dei galantuomini a trovare Mastro Vincenzo Mazzola, detto Mastro Vincenzo Nobbile, che là faceva il cameriere, ed era cacciatore. A quei tempi c’era ancora la caccia primaverile, che durava quaranta giorni: incominciava a metà Aprile e si chiudeva a fine Maggio. Ogni sera, uscendo dal Circolo, prima di andarsene a casa a dormire, Mastro Vincenzo si metteva al centro del corso, spezzettava finemente dei pezzetti di carta e li tirava in aria, per vedere che tipo di vento soffiasse.
Aspettava il vento giusto, il vento di scirocco, e ogni volta diceva: “Deve venire la giornata giusta per divertirci, il vento adatto per l’ingresso delle quaglie”! Una sera di queste, mentre lanciava in aria pezzettini di carta, cambiò il vento e venne lo scirocco; allora Mastro Vincenzo mi disse: “ Pippineddu, proprio questo è il vento! Vedi quant’è bello forte! Vai cambiarti che usciamo adesso. Vediamo se possiamo vedere qualche quaglia entrare dal mare.
Portati le cartucce! Hai capito? Ci vedremo tra mezz’ora al bar di Pirricchiu!” “D’accordo! Il tempo di cambiarmi!”, e quando arrivai al bar di Pirricchiu, già Mastro Vincenzo era là, con un gilet così pieno di cartucce, che non sapeva più dove metterle, la cartucciera e lo zaino pure pieni, e alla cintura aveva legato un cane, un bel pointer.
“Mastro Vincenzo, dove dobbiamo andare?” gli chiesi, e lui: “Agli Archi del Feudo! E da lì andiamo verso la Torre del Mulinazzo!” Dove adesso c’è l’aeroporto di Punta Raisi “Falcone e Borsellino”.
Cominciammo a camminare piano piano, a piedi, con i fucili in spalla. Arrivammo due ore prima che facesse giorno. Ci riposammo un po’, appena cominciò ad albeggiare, ci appostammo un po’ per vedere se entravano quaglie dal mare, ma non si vide neanche una coda e io pensai che eravamo venuti per nulla. Facendosi giorno cominciammo a cacciare. Il cane non faceva nulla, dato che non sentiva le tracce del selvatico e mentre camminando Mastro Vincenzo imprecava: “Neanche una coda!” Appena oltrepassammo il muro di pietra, il cane di Mastro Vincenzo puntò e si sollevò la prima quaglia, le sparammo e la abbattemmo. Da quel momento in poi, ad ogni passo, si libravano nell’aria quaglie in abbondanza. Io ero così confuso che non sapevo dove sparare prima e anche le cartucce mi erano finite, e Mastro Vincenzo mi disse: “Pippineddu, te lo dicevo che era proprio il tempo adatto! Le cartucce le ho, prendile e fai fuoco a volontà!”
Ma col fucile ad una sola canna, prima di andare a prendere la quaglia, quasi non avevo il tempo di ricaricare.
Camminando, camminando, incontrammo prima Don Ferdinando detto Pollastrella, risentito con Mastro Vincenzo per il fatto che la mattina non l’aveva aspettato e dopo, arrivati quasi in contrada Ominu Mortu, incontrammo Cola Palazzolo, detto Fiaccone, con Mastro Natale, detto Pizzudda. Là ci siamo confusi per quante quaglie sparammo; il cane era impazzito, non sapeva dove andare prima. Ognuno di noi aveva uno zaino pieno di quaglie. A mezzogiorno gli amici che avevamo incontrato se ne andarono a casa; noi, invece, ci fermammo nella casamatta abbandonata, dove Tano, detto il “Vappu”, mungeva le pecore. Mangiammo un tozzo di pane con companatico, ci riposammo e cominciammo di nuovo a cacciare fino a sera. Prima che arrivassimo al Mulinazzo, finimmo entrambi le cartucce.
“Una giornata di caccia alla quaglia come questa, in novantaquattr’anni che ho, non l’ho mai vista”!